Alle 14,00, orario di Mosca, del 14 luglio scorso si è aperto il portellone di un'astronave simile a quella che prossimamente potrebbe portare l'uomo su Marte. Subito dopo sono usciti i sei membri dell'equipaggio che aveva partecipato alla prima fase della missione simulata su Marte, cominciata il 31 marzo scorso. Erano rimasti rinchiusi per 105 giorni, completamente isolati dal mondo esterno, in una struttura che riproduceva in tutto e per tutto l'interno di una navicella spaziale. Non vedevano l'ora di rivedere il sole – quando erano entrati c'era la neve e la temperatura era sotto lo zero –, di riabbracciare i propri cari e di riprendere la loro vita "normale". Erano però anche pervasi da un senso di malinconia all'idea di non poter fare più le attività che nel corso di tre mesi e mezzo erano divenute familiari.
L'equipaggio era formato da quattro russi: due cosmonauti, uno dei quali è il comandante della missione, un medico e uno specialista di medicina dello sport e due europei: un ingegnere militare tedesco e un pilota dell'aviazione civile francese. Erano stati selezionati tra oltre cinquemila candidati attraverso un lungo iter che comprendeva numerose prove, test medici e psicologici oltre che un training durato due mesi completato da un corso di sopravvivenza di circa 3 giorni a meno 25 gradi. L'esperimento è la prima fase della simulazione di una missione umana su Marte: il programma Mars500, promosso da Roscosmos (l'Agenzia spaziale russa), che vede la collaborazione fra l'Esa (Agenzia spaziale europea) e l'Ibmp (Istituto per i problemi biomedici dell'Accademia delle scienze russa). La seconda fase è prevista per l'inizio del 2010: un altro equipaggio di 6 membri rimarrà isolato per 520 giorni, un anno e mezzo, la durata effettiva di una missione di andata e ritorno, atterraggio e permanenza su Marte.
Solo pochi giorni dopo la fine del periodo di isolamento, il 20 luglio scorso, io e alcuni membri del gruppo di ricerca con il quale partecipo al programma Mars500, incaricato di studiare gli effetti psicologici dell'isolamento, abbiamo incontrato a Mosca i partecipanti alla missione per effettuare le interviste di debriefing. Con me c'erano il capo progetto Berna Van Baarsen, docente dell'Università di Amsterdam e Fabio Ferlazzo dell'Università di Roma. Scopo delle interviste era analizzare le dinamiche interpersonali, il senso di solitudine e di isolamento sperimentato dai partecipanti, esaminare i vissuti personali e le strategie di coping adottate.
La finta astronave nella quale viene simulato il "viaggio nello spazio" ha una superficie di 150 metri quadrati ed è suddivisa in 3 moduli fra loro collegati: uno serve da abitazione, uno per le eventuali cure mediche e il terzo è adibito al lavoro di tutti i giorni. Due ulteriori moduli servono a simulare l'atterraggio e la superficie di Marte. Le condizioni ambientali sono quelle di una navicella spaziale, la luce è artificiale, perciò manca l'alternanza di luce naturale e buio, l'aria è tenuta sotto controllo artificialmente (temperatura, umidità, concentrazione di ossigeno e anidride carbonica) e manca qualsiasi contatto con l'esterno se si eccettuano le comunicazioni, solo vocali, fra il comandante e il centro di controllo, ritardate di circa 20 minuti, come avviene durante le missioni spaziali. A bordo i partecipanti hanno potuto portare libri, film, personal computer e nel tempo libero, oltre a leggere e guardare film, hanno anche potuto fare attività fisica. Il loro lavoro riguardava diversi campi: medicina, biologia, ingegneria. Hanno dovuto svolgere diversi test, prove, esercizi e quant'altro richiesto dai circa 70 progetti di ricerca messi in campo da gruppi di ricercatori europei e russi. Hanno dovuto raccogliere campioni di urina, saliva, sangue, monitorare il loro cervello e il cuore tramite elettrocardiogramma ed elettroencefalogramma, riempire questionari, registrare diari. Ai ricercatori interessava soprattutto valutare gli effetti del confinamento su aspetti di tipo psicologico e fisiologico, in particolare su regolazione ormonale e sistema immunitario, su stress, qualità del sonno, variazioni dell'umore e sugli effetti legati alla dieta, che è simile a quella degli astronauti della Stazione spaziale internazionale. I risultati di questi studi permetteranno di adottare le necessarie contromisure per gestire gli effetti delle missioni spaziali sullo stato psico-fisico degli astronauti e di selezionare gli equipaggi più adatti.
L'interesse scientifico e applicativo dell'esperimento si può comprendere, oltre che dai colloqui informali, anche dai diari che i partecipanti europei hanno pubblicato online dai quali si evince che non è stata la lunghezza dell'isolamento ma la difficile regolazione del sonno e della veglia uno dei disagi registrati. A tutti i partecipanti infatti il tempo è sembrato molto più breve, poche settimane invece di 15, poiché sono stati molto impegnati in attività accuratamente programmate che richiedevano grande attenzione, precisione e rispetto dei tempi previsti. Più difficile la regolazione del sonno visto che a rotazione tutti dovevano svolgere turni di veglia di 24 ore. Ciò è stato accentuato dalla mancanza di alternanza naturale fra luce e buio e da alcuni esperimenti che prevedevano il posizionamento di numerosi elettrodi sul capo.
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